L’Alzheimer è la forma di demenza più diffusa e che rappresenta circa il 60% di questa condizione.
Definiamo il termine demenza: la demenza è uno stato caratterizzato da un declino di funzioni cognitive e comportamentali precedentemente acquisite, che interferisce in maniera significativa con le capacità lavorative e sociali del soggetto che si trova in questa situazione, in assenza di problemi di vigilanza e che potrebbe essere spiegabile da patologie identificabili e potenzialmente reversibili, che possono produrre cioè forme di “demenza secondaria”.
Nelle demenze degenerative primarie (di cui l’Alzheimer è la forma più rappresentativa) lo stato e la malattia invece coincidono: il deterioramento cognitivo e comportamentale, è progressivo e irreversibile.
Al momento attuale purtroppo non esistono terapie efficaci per contrastare questo tipo di patologie, nonostante le circa 200 molecole che le varie industrie chimiche e farmacologiche abbiano posto in sperimentazione negli ultimi 20 anni e nonostante la presenza sul mercato dei farmaci di alcune molecole utilizzate appunto nella “terapia delle demenze”.
Nemmeno le terapie non-farmacologiche si sono dimostrate valide, se non in misura poco rilevante e temporanea, nel contrastare gli effetti di questa patologia. Il carico assistenziale di questi soggetti ha prodotto e produce una vasta epidemia di disagio nelle famiglie dei pazienti, che subiscono un carico emotivo ed economico insopportabile, con gravi conseguenze che investono in maniera negativa attività lavorative e sociali a più livelli fra quelli che debbono occuparsi, molte volte a tempo pieno, dei loro famigliari ammalati, e che sconteranno anche in termini di salute personale questo impegno.
Quasi ogni giorno, inoltre, su giornali e televisione compaiono notizie a sfondo miracolistico, solitamente prive di ogni riscontro scientifico, che alimentano speranze di terapie efficaci, che vengono regolarmente disattese nel tempo, lasciando spazio e molte volte amplificando il senso di frustrazione e di disperazione di coloro che si occupano di questi pazienti.
Ritengo a questo proposito sia utile fare il punto su quello che sappiamo dell’Alzheimer, e che sia scientificamente garantito.
Lascio da parte, almeno in questo breve articolo introduttivo, i numeri che accompagnano gli aspetti più tecnici in termini di patologia e di clinica trattando piuttosto ciò che ritengo di grande importanza, sia nella prospettiva di quello che è realmente possibile mettere in campo per affrontare malattia e demenza di Alzheimer e, soprattutto, quello che è possibile fare in termini di prevenzione.
PREVENZIONE che al momento rappresenta l’unico intervento possibile in termini di risultati sulla malattia di Alzheimer.
Ho scritto, opportunamente, malattia e non demenza di Alzheimer, perché questa demenza è in realtà il risultato di una malattia che può durare anche molti anni (anche più di venti) senza dare segno evidente di sé.
Il problema della malattia consiste nel fatto che essa, a tutt’oggi, non è identificabile da nessuno degli strumenti medici (laboratorio, neuroimmagini, ecc.) che abbiamo a disposizione se non quando avvenga la conversione in demenza.
Un dato interessante poi è quello che nell’arco degli ultimi 40-50 anni l’incidenza della malattia è in deciso calo*, come d’altronde è in calo l’incidenza delle malattie vascolari, principalmente attraverso il controllo dei cosiddetti fattori di rischio.
Questo ci porta direttamente al contenuto di questo sintetico articolo: il legame cioè fra malattia di Alzheimer e malattie vascolari, facendoci ipotizzare una stretta connessione fra l’una e l’altra patologia e fornendoci un segnale di speranza nel controllo della malattia degenerativa prima della sua conseguente conversione in demenza.
Come per le malattie vascolari, i fattori di rischio modificabili che potrebbero incidere sulla lunghezza della malattia di Alzheimer e ritardare la conversione in demenza sono quelli legati ad aspetti sistemici e metabolici, oltre a quelli legati ad abitudini di vita scorrette.
Così il controllo puntuale della pressione, del peso, l’incremento dell’attività fisica, l’astensione dal fumo, il controllo di un eventuale diabete possono contribuire da una parte a limitare l’insorgenza di malattie vascolari e dall’altra ad allungare la fase asintomatica della malattia di Alzheimer, regalando al soggetto che addotta questo stile di comportamento qualche anno di vita privo degli aspetti che caratterizzano la demenza conclamata.
Alcuni studi internazionali hanno finora confermato questa ipotesi, costruendo anche dei programmi di prevenzione fondati proprio su quanto abbiamo detto: controllo dei fattori di rischio, programmi di attività fisica e, come contorno, modalità di stimolazione cognitiva.
Come è facile immaginare questo tipo di programmi sarebbe facilmente adattabile alla maggior parte delle persone che superano o stanno per superare quello che è il maggior fattore di rischio (non modificabile) per quanto riguarda l’Alzheimer conclamato, e cioè l’età.
Tratteremo in maniera più approfondita questo argomento in future articoli sempre sul tema malattia e demenza di Alzheimer.
* L’incidenza della malattia è in calo in quanto il numero dei soggetti che entrano nell’età a rischio negli ultimi 50 anni è decisamente raddoppiato o triplicato in quasi tutti i paesi presi in considerazione. Così, ad esempio, se in passato 100 soggetti fossero entrati nelle casistiche e il 10% di questi avesse presentato la malattia (10 su 100), nell’arco degli anni la incidenza dimezzata (5%) si sarebbe dovuta applicare a 1000 soggetti (50/1000), e così
quello che noi vediamo è il numero totale dei malati che risultano essere sempre di più in termini di numeri assoluti.
Dott. Pierluigi De Bastiani
Specialista in Neurologia presso Policura